Gran Fondo Ercole Baldini 08.06.2008

 

Ore 6.30

Appena sveglio, inizia la preparazione dello stand Slyway, posizionato a Massa Lombarda, proprio sul rettilineo di arrivo della Ercole Baldini, ultima tappa del Circuito Romagnolo 2008. Il silenzio e la quiete mattutina nella campagna romagnola sono favolosi, la temperatura è mite, e i primi gruppetti di ciclisti alla ricerca della zona di partenza, girano un po’ a caso per il paese. Aperto il gazebo, blu come il cielo, alzo con orgoglio le grandi bandiere Slyway e intanto penso a quanta strada abbiamo fatto per arrivare fino a qui, con tutte le difficoltà superate, le persone straordinarie che abbiamo incontrato lungo la nostra strada, i clienti appassionati, i compagni di squadra più fedeli.

Ore 7.20

Partiamo da piazza Matteotti e dopo poche curve, usciamo dal paese puntando verso Mordano. Il clima è molto rilassato, nessuno forza l’andatura, oggi siamo liberi dal cronometro, e ho tanta voglia di divertirmi. Superiamo in pianura diversi gruppi con andatura cicloturistica, mentre racconto ad Antonio l’ultima GF, corsa lunedì scorso sui Colli Euganei. Dopo circa 20 km dalla partenza affrontiamo la prima salita verso cima Serra, lunga 3 km, dove è posto il primo controllo. L’altro controllo che possiamo fare su questa salita, è renderci conto come girano le gambe oggi. La discesa è l’occasione per iniziare a suonare il campanello che utilizziamo sempre per segnalare ai ciclisti il nostro arrivo. Si prosegue in direzione Tebano, affrontando i Monti Coralli, saliscendi deliziosi con pendenze del 3% e 4% dove l’abbrivio acquistato in discesa mi permette di iniziare le salite a velocità doppia degli altri! Anche oggi non mancano i commenti, e diversi sono un attimo spaventati e sconcertati al nostro passaggio, perché la prima cosa che entra nel loro campo visivo è un paio di piedi ad altissima velocità! Non bastano mille parole per spiegare a chi si rifiuta di credere (negando l’evidenza) che pedaliamo più comodi e facciamo meno fatica…

La Carla, non è una donna incontrata sul percorso, ma la salitina tosta e corta, che si affronta prima di scendere a Brisighella. Qui per la prima volta, rinuncio al mio 56 in favore del 41×25 che mi fa salire con relativa facilità, davanti (e sottolineo “davanti”) agli sguardi sbigottiti di certi increduli ciclisti. Il cielo non è più tanto sereno, e le nubi scure all’orizzonte non promettono nulla di buono. I ciclisti locali mi rassicurano più di una volta: “stai tranquillo, oggi non prendiamo l’acqua”. Sarà, ma intanto aumento l’andatura per ridurre le probabilità di incontrare la pioggia, e lascio indietro un bel numero di gruppetti, con l’obiettivo di andare a riprendere quelli che sono andati via mentre ero fermo al ristoro ed assaporavo crostate, albicocche, formaggio… A Brisighella avviene finalmente il ricongiungimento. Non riesco a prendere il fiato e siamo ai piedi del Monticino, salita di 5 km dove vengo subito superato da un arzillo ultra-cinquantenne (ultra sia per l’età, che per l’agilità da scoiattolo con la quale sale su per i tornanti di questo colle). Un’occasione così allettante non posso lasciarla passare, mi attacco (in senso figurato!) dietro la sua ruota e decido di rimanergli incollato fino in cima. E’ incredibile il vantaggio psicologico che proviene da questo tipo di traino. E’ incredibile anche lo sforzo di volontà che mi devo richiedere per giustificare alle mie gambe, che non sono del tutto d’accordo ad assecondare la mia sparata di esibizionismo! La cronoscalata finisce quando vedo a caratteri cubitali sull’asfalto una rassicurante scritta 300, che annuncia la fine dell’apnea. Pochi metri più avanti, il controllo, subito dopo il secondo ristoro, che richiede di essere onorato come si deve, giusto?

La descrizione del percorso a questo punto dice che “la discesa è molto bella, con i suoi tornanti e un buon asfalto…” Ma tra un boccone di grana e un bicchiere di coca cola, le prime gocce iniziano a scendere, con una progressione inequivocabile! Addio alla crostata e alle albicocche, mi metto in sella di corsa e cerco di allontanarmi alla massima velocità dall’inevitabile destino… Invece di diminuire, la pioggia è sempre più fitta, e picchia violentemente sulla faccia. La “discesa molto bella” è solo una pallida ombra che vedo, prima attraverso gli occhiali appannati e fradici, poi ad occhi socchiusi. La pioggia battente non accenna a diminuire, e mentre sento le esclamazioni più colorite dei compagni di avventura, cerco di tranquillizzarmi, e mi dico ad ogni curva che tutto è sotto controllo. Nonostante la velocità moderata (per prudenza), la pioggia batte diritta sugli occhi, e devo sforzarmi di non tenerli completamente chiusi! Resisto anche alla tentazione di fermarmi, perché rimanere sotto questa doccia fredda non è certo la soluzione migliore. Decido di utilizzare la mano sinistra come fosse la visiera di un cappello, a protezione degli occhi, mentre con la mano destra tiro nel modo più delicato possible la leva del freno anteriore.

La pioggia ci lascia fradici e infreddoliti alla fine della discesa, ma almeno ci lascia, e come fossimo entrati in un gigantesco autolavaggio, entriamo nella zona “asciugatura”, dove un sole caldo inizia a svelarsi, e l’aria calda che attraversiamo in velocità funziona come un phon. A Castel Bolognese siamo lavati, asciugati e stirati. Mancano poco più di 10 km all’arrivo, e lunghi trenini di ciclisti in fila indiana si presentano all’orizzonte. Le gambe girano ancora così bene che mi permetto di “andare a prendere” il primo gruppo. Quando arrivo in coda, risalgo la fila, rispondendo con un saluto ai compagni sorpresi del mio arrivo; affianco il “capo gruppo” e dopo qualche attimo vedo all’orizzonte un gruppo ancora più numeroso. Senza cambiare rapporto, inizio a spingere con più generosità sui pedali. Il capo gruppo cerca di resistere, ma poco dopo dietro le mie spalle solo il vuoto… Quest’ultimo inseguimento mi impegna non poco. Provo a capire se, alla velocità attuale, visto il ritmo al quale si riduce il mio distacco, riuscirò a prenderli prima dell’arrivo. Mancano 5 km al traguardo, devo lanciare uno sprint con me stesso, se voglio colmare il vuoto. Per mia fortuna non siamo in gara, e nessuno là davanti tira velocità improbabili. Arrivo prima del previsto in coda al gruppone, giusto in tempo per ringraziare me stesso per essermi impegnato divertendomi fino alla fine, e per salutare i volontari che ci segnalano le ultime curve fino all’arrivo.

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